Con l’avvicinarsi del Natale, non dispiace rievocare il silenzio dell’attesa, il buio della notte, la povertà di una stalla, la gioia per il pianto di un bambino appena nato.

A pensarci bene, da sempre, l’attesa (messianica o meno) di un evento risolutivo, di una nuova era, di un cambio di passo è affidata anche alla nascita di un fanciullo: prima ancora dei Vangeli, Virgilio nella IV Ecloga celebrava un puer salvifico.

Con lui sarebbe cessata l’età del ferro (la guerra, la rudezza, l’abominio, la fatica) e invece, sarebbe iniziata quella dell’oro ( la prosperità, l’abbondanza, la floridezza). Un puer portatore di pace e di un nuovo ordine ( magnus ab integro saeclorum nascitur ordo). Davanti al Mistero impossibile non rimanere senza parole; in silenzio.

Eppure il silenzio non si può dire, ma scriverne si può; magari con prudenza e pudore per sfatare i pregiudizi che lo circondano, intessuti di fastidio, paura, infatuazione: quasi il rovescio oscuro del suono, della parola, del rumore. Una tenebra di solitudine opposta alla compagnia luminosa dell'eloquio, della musica, del brusio.

Alle irrisolte, e troppo spesso inutili aggressività individuali e collettive, il silenzio simboleggia il diverso assumendo connotazioni sospette, quasi tendesse agguati totalitari e mortali alla vivacità democratica del suono.

E’ il termine silenzio, nella sua relazione con la meditazione su Natale, che ha suggerito queste riflessioni: il silenzio che indica situazioni ed atmosfere che dischiudono realtà molto differenti; il silenzio della natura, fenomenico, che si manifesta come una sospensione dei suoni naturali; il silenzio che segue lo scoppio roboante del tuono; il silenzio che precede l'alba.

E ancora il silenzio ontologico, che incrina la barriera fra essere e non essere, il silenzio di Dio, spazio della tragedia e della libertà, origine dell'avventura e dell'angoscia; il silenzio dell’ineffabile che non risponde e scioglie il punto interrogativo alla domanda; il silenzio della ragione, che non è il suo sonno, ma riposo all'ombra della soglia. E poi silenzi di timidezza, pudore, segreto, pietà.

Ma è necessario il silenzio per ascoltare: l’empatia e l’ascolto attivo non sono teorie ma possibilità concrete di cogliere la ricchezza dell’incontro con l’altro. Se poi l’altro è un bambino, vuol dire farsi piccoli, abbassarsi, usare delicatezza e premura, sussurrare e accarezzare. Nessun gesto di forza, dunque, ma la via, paradossale, della debolezza, della lentezza, della gratuità.

Il bambino atteso, forse, nasce ogni qual volta cinismo e disillusione si arrendono alla fiducia nel futuro, alla prorompente e inarrestabile creatività e alla voglia di fare; a quella visione di chi, malgrado le cadute, le delusioni, le difficoltà, non si arrende e riprende nell’oggi non la corsa all’autoaffermazione ma, semplicemente, la ricerca del senso del proprio esistere.

Forse sta proprio in questo semplice inizio di una vita di un Uomo sulla terra il segreto dell’universalità del Natale: un messaggio oltremodo semplice, alla portata di tutti, a cominciare dai poveri pastori di Betlemme; così come semplice sarà anche la vita di quel bambino appena nato, redentore per caso: passerà in mezzo agli altri uomini facendo il bene, parlerà un linguaggio capace di toccare il cuore dei semplici, vivrà nella frugalità, nella solidarietà e nell’amicizia che è patrimonio dei piccoli; accetterà qualunque cosa, anche il tradimento.

Il Natale, va ricordato, non è un periodo o una ricorrenza, ma uno stato della mente e una tensione del cuore. L’antropologia cristiana raggiunge il culmine nella disponibilità all’ascolto e al perdono che è anche capacità di trovare la forza, e forse anche il coraggio, di ascoltare e perdonare.

Il bambino, appena nato, non ha nulla, non sa, ma tende le mani; offre ciò di cui non sappiamo di avere intimamente bisogno: la presenza gratuita e l’essere per l’altro, l’essere con l’altro.

A casa e a scuola.

Accettare quindi di non essere i primi e di mettersi, a un certo punto, da parte, è sempre difficile, tuttavia non impossibile: a partire dalle vicende umane alle quali attribuire il giusto valore, perseguendo un progressivo distacco per prepararsi, è storia, a un personalissimo epilogo di cui, sebbene consapevoli, duole spesso la sorpresa.

Il Natale, allora, vorrei fosse inteso come capacità di guardare nella grotta del proprio intimo per riscoprire il senso dell’attesa, dell'affetto, dell'attenzione, non sempre percepibile nel quotidiano; per testimoniare, in questo mondo globalizzato, mutevole e multiforme, umiltà, perdono e gioia anche nella miseria, nella malattia, nella solitudine.

T.S. Eliot scriveva in East Coker (Four Quartets) … I said to my soul, be still and wait without hope, for hope would be hope for the wrong thing …Wait without thought, for you are not ready for thought: So the darkness shall be the light, and the stillness the dancing: è fatto proprio, in pochi versi, un intenso messaggio di Luce che, a distanza di secoli, tra sorpresa e attesa, ancora perseguita con implacabile amore.

Di qui l’augurio a ciascuno di potersi fermare al cospetto della nascita e contemplarla, attrarla nel proprio orizzonte, riservarle tempo e spazio, quale che essi siano, stupirsene e, intimamente, rallegrarsene.

Il vostro preside